Forse non tutti sanno che in Campania abbiamo ben 6 aree marine protette, ognuna delle quali ha una sua peculiarità: Santa Maria di Castellabate, Punta Campanella, Parco Sommerso di Gaiola, Parco Sommerso di Baia, Regno di Nettuno a Ischia e Costa degli Infreschi.
Infatti, oltre ai ben noti siti archeologici di Paestum, Pompei, Ercolano e Pozzuoli, esiste uno straordinario patrimonio storico-archeologico sommerso nel mare della Campania ed in particolare nelle sue Aree Marine Protette, nelle quali il turismo subacqueo resta una delle attività collegate al turismo sostenibile di maggiore attrattiva.
Spesso si opta per immersioni in mete lontane, perché ignoriamo che a pochi km da casa nostra il mare può offrire un patrimonio naturalistico ed archeologico davvero emozionante!
Invece nelle 6 Aree Marine Protette campane operano circa 20 centri di immersione che veicolano oltre 6.000 “immersioni” coinvolgendo un notevole numero di appassionati ai tesori nascosti del mare.
Persino io che sono napoletana ignoravo la bellezza ed i tesori nascosti della nostra Costa.
Ho avuto l’opportunità di scoprirli tramite il press tour organizzato da Aigae (Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche), che punta a rendere il turismo ambientale aperto a tutti, e la voce esperta del l’archeologia Alessandra Benini, nelle aree marine protette della Campania.
Ognuna di queste aree protette ha una sua peculiarità: l’area di Castellabate è famosa per il suo foro romano, quella di Punta Campanella per le ville marine, Aenaria ha uno scavo archeologico subacqueo, mentre Gaiola e Baia hanno ville romane sommerse.
Area Marina protetta di Santa Maria di Castellabate e Punta Licosa
Il nostro tour è partito dall’ Area Marina protetta di Santa Maria di Castellabate e Punta Licosa, proprio lì dove è stato girato il film “Benvenuti al Sud”.
Dopo una breve conferenza stampa a Villa Matarazzo, dove c’è il Roseto più grande d’Europa con 210 specie di rose, siamo andati alla scoperta dell’Area Marina protetta del Cilento partendo dal porto di San Marco di Castellabate.
Forse non sapete che quella del Parco nazionale del Cilento è l’unica area protetta con 4 riconoscimenti Unesco mentre il Mare del Cilento è il mare più riconosciuto è più premiato d’Italia.
Una costa, così ricca di tesori, che è sempre stata contesa tra Paestum e Velia.
L’Area Marina protetta di Santa Maria di Castellabate, infatti, in un piccolissimo tratto di costa, racchiude tutto ciò che può avere a che fare con l’archeologia subacquea, una sorta di piccolo manuale di archeologia subacquea. In questo ipotetico tour costiero incontriamo, partendo dalla spiaggia di Santa Maria di Castellabate in località Lago, una serie di impronte semicircolari molto regolari semisommerse che documentano lo sfruttamento del banco roccioso di arenaria per una cava di macine e/o rocchi di colonne, della stessa dimensione dei templi di Paestum, quindi è probabile che siano state scavate per costruire i templi di Paestum; troviamo il porto romano; abbiamo il relitto perché era una rotta commerciale; Abbiamo una villa marittima…. Insomma tutto ciò che può avere a che fare con l’archeologia subacquea.
Spostandoci a San Marco di Castellabate possiamo visitare il porto romano, sicuramente il monumento di maggior rilevanza – se non altro per lo stato di conservazione; i resti di uno dei moli sono in parte visibili anche da terra senza necessità di effettuare immersioni subacquee.
Il porto romano di San Marco era costruito da due moli.
La grande invenzione del popolo romano fu quella di scoprire il calcestruzzo e che questo cemento si induriva in acqua e quindi, a differenza dei greci, iniziarono a costruire i porti anche su fondali sabbiosi laddove non c’era possibilità di ridosso.
Dalle tracce trovate sul porto di San Marco sono state ipotizzate varie informazioni sulla sua costruzione.
L’originario bacino – ben più ampio dell’attuale – è in buona parte occupato dall’edilizia moderna e dal molo del porticciolo moderno. Il ritrovamento nelle sue vicinanze di una necropoli con numerose tombe di veterani della classis Misenenis, ha fatto ipotizzare per il porto di San Marco una funzione militare.
Il tratto di costa compreso tra il porto romano e Punta Licosa ha restituito invece, numerosissimi ceppi d’ancora in piombo alcuni dei quali con epigrafe disegni beneauguranti, che è possibile visionare nel museo del castello di Santa Maria di Castellabate.
Di fronte al promontorio di Licosa, il cui toponimo deriva dal nome di una sirena (molto probabilmente quella che ammaliò Ulisse), si trova l’omonimo isolotto, che nonostante le sue ridotte dimensioni, conserva tracce del settore marittimo di una villa sempre di età romana che si ritiene si estendesse principalmente sulla terraferma, mentre sotto pochi decimetri d’acqua si intravvedono altre strutture murarie relative probabilmente ad un impianto per la lavorazione del pesce. Qui sono state trovate numerose anfore, anch’esse conservate nel museo del castello di Santa Maria di Castellabate, che consentono di inquadrare i traffici commerciali in un arco temporale che va dal V secolo a.C. alla tarda antichità.
Per completare il quadro dei rinvenimenti archeologici subacquei non poteva naturalmente mancare un relitto di nave oneraria, che venne individuata a 30 metri di profondità e scavata negli anni 90 del secolo scorso restituendo grandi quantità di anfore Dressel 1B databili al I secolo a. C, esposte nell’Antiquarium.
Area Marina protetta di Punta Campanella
Punta Campanella, il promontorio che guarda i faraglioni di Capri e divide il Golfo di Napoli da quello di Salerno, ha dato il nome all’Area marina protetta più longeva della Campania. Diretta dal direttore Antonino Miccio, fu istituita nel 1997 e conta 31,33 km di costa che attraversa la costiera sorrentina e la costiera amalfitana, da Sorrento a Positano. Un luogo straordinario, dove storia e mito si fondono insieme ad una natura rigogliosa ed un paesaggio mozzafiato.
Per visitarla, siamo partiti dal porto di Salerno e costeggiato tutta la costiera Amalfitana dal mare. Già solo lo spettacolo della costa via mare è stato davvero spettacolare: le pareti rocciose a picco sul mare nelle quali si trovano numerose torri saracena che servivano a proteggere la costa dagli attacchi dei pirati, ed i coloratissimi paesini dai colori pastello di Amalfi, Positano, Maiori, Minori…. Incastonati nelle rocce.
Un territorio ricchissimo di storia, cultura, mito, leggenda, archeologia e tradizioni, circondato da un mare trasparente e numerose baie, calette e testimonianze di antiche civiltà, fino ad arrivare alla punta più estrema che divide la Costiera Amalfitana dalla Costiera Sorrentina.
Con i faraglioni di Capri di fronte, eccoci a Punta Campanella con il faro e l’antica torre di avvistamento saracena, dove un tempo sul promontorio, frequentato dapprima dai Micenei e poi dai Greci, vi realizzarono un tempio dedicato ad Athena protettrice della navigazione, che passò nel IV secolo sotto il dominio dei Sanniti, ai quali appartiene la famosa iscrizione qui ritrovata (III-II a.C.) in cui si cita la realizzazione di un approdo nell’insenatura di levante per raggiungere il santuario dedicato a Menerva (divinità italica equivalente ad Athena).
Il santuario e il culto perdono importanza con la conquista romana, quando questo tratto di costa diviene principalmente il punto di imbarco per raggiungere Capri divenuta, con Tiberio, residenza imperiale. Il santuario doveva trovarsi nel primo terrazzamento laddove nel 1335 è stata realizzata la torre di avvistamento.
Strabone descrive il golfo di Napoli nell’età romana come una unica città con un susseguirsi ininterrotto di ville da Miseno fino a Punta Campanella mode Baianum (costruite sullo stile architettonico delle ville di Baia) e in penisola restano tracce di questa ricca edificazione con innumerevoli resti murari, ninfei, peschiere, banchine di attracco e cunicoli scavati nella falesia che confermano quanto descrittoci dagli autori antichi.
L’articolazione degli spazi e la struttura di queste dimore lussuose rappresenta un unicum nell’architettura romana. Dallo studio della disposizione degli ambienti, per lo più senza uno schema rigido, infatti, si percepisce che tutto era in funzione dell’adattamento degli spazi alla fruizione del paesaggio. In particolare nel tratto di costa prossimo a Sorrento si conservano, a ridosso della costa, i resti della Villa di Agrippa Postumo e la villa annessa al c.d. Bagno della Regina Giovanna, due tipici esempi di ville marittime, suddivise tra un settore residenziale ed un settore marittimo.
Ma se da sopra il mare quest’area marina protetta è meravigliosa, con un’immersione subaquea lo è ancora di più, lasciandovi davvero a bocca aperta. Lo scoglio del Vervece, situato a circa mille metri dal porticciolo di marina della Lobra (Massa Lubrense), è un vero e proprio Santuario del mare per la presenta a -12 metri di profondità di una statua di una Madonnina sommersa che protegge le immersioni dei su.
Dalla superficie al fondo, il Vervete racchiude tutto il fascino dell’immersione nel Mediterraneo. Appena sotto il pelo dell’acqua, le pareti sembrano giardini fioriti ricoperti da margherite di mare (Parazoanthus axinellae) con i polipi aperti in corrente pronti a catturare particelle planctoniche; rosse stelle marine adagiate sulle colonie gialle e centinaia di pesciolini dalle livree multicolori, Gorgonie e piccole conchiglie fusiformi. Le pareti più profonde situate situate sul versante settentrionale affascinano per la presenza di imponenti foreste di gorgonie rosse.
Parco Sommerso di Gaiola
La collina di Posillipo divide geograficamente l’area napoletana gravitante intorno al vulcano del Somma Vesuvio dall’area gravitante intorno alla caldera flegrea i cui margini si estendono fino al promontorio di Miseno.
Tutta la costa flegrea, e in parte anche quella napoletana, è interessata dal fenomeno del bradisismo, un lento movimento – ascendente o discendente – della crosta terrestre legato allo spostamento delle masse magmatiche dell’interno della caldera, che ha causato profonde variazioni geomorfologiche, con la conseguente sommersione delle strutture di età romana collocate in prossimità dell’antica linea di costa. Attualmente il livello del mare – in questo tratto di costa – risulta maggiore di circa tre metri rispetto a quello di età romana, conservando così sott’acqua gran parte delle istallazioni marittime appartenute alla grande villa romana che si conserva sulla sommità della collina, nota tramite gli autori antichi con il nome Pausilypon “riposo dagli affanni”; nome che ancora si conserva nel toponimo napoletano Posillipo.
La villa appartenne ad un ricco e discusso personaggio, Marco Vedio Pollione, arricchitosi secondo gli storici antichi con mezzi illeciti e famoso per una smodata passione per l’allevamento delle murene. Alla sua morte- avvenuta nel 15 a.C. – lasciò la villa in eredità a Ottaviano Augusto, che apportò una consistente ristrutturazione per adeguarla a villa imperiale. La villa, oltre alla zona residenziale propriamente detta, aveva un esteso settore marittimo di cui si conservano al livello del mare numerose strutture tra cui particolarmente celebre è il ninfeo conosciuto come “Scuola di Virgilio”, del quale oggi non resta molto ma è ugualmente noto grazie a stampe e incisioni dei secoli scorsi.
Tutto lo specchio di mare che circonda l’isola della Gaiola è costellato da resti di strutture sommerse che vennero già segnalate e rilevate dal Günther nel 1913, ma delle quali ancora si conosce troppo poco per poterne stabilirne l’esatta funzione. Sicuramente individuabile è il porto della villa – situato nell’odierna Cala di S. Francesco – caratterizzato da un imponente muro che termina con cinque pilae, con paramento in opera reticolata. Di tutte le altre strutture – salvo qualche eccezione – si conosce troppo poco ma data la notorietà di Vedio Pollione per la sua passione per le murene sicuramente almeno parte di questi resti – soprattutto quelli più esposti al mare aperto – possono essere ricondotti a peschiere, ossia a vivai per l’allevamento di pesci. I numerosi ambienti che giacciono in questi fondali sono stati realizzati non con opere di muratura bensì con l’escavazione e la regolarizzazione del banco tufaceo, che ancora oggi conserva chiare tracce di estrazione. Un poderoso muro – ancora ben conservato – proteggeva l’intero complesso dai venti di scirocco.
Parco sommerso di Baia
I Campi Flegrei, e con essi Baia e Pozzuoli, sono noti in tutto il mondo per il fenomeno del bradisismo, scoperto grazie alla presenza, fino ad una altezza massima di sei metri, di fori di litodomi sulle colonne del Macellum di Pozzuoli e studiato nel XIX secolo da Issel, il quale per primo ipotizzò l’esistenza di oscillazioni verticali periodiche del suolo senza visibili deformazioni permanenti.
Questo fenomeno ha comportato, nei secoli, variazioni del livello del mare tali da sommergere tutta la fascia costiera di età romana per un’ ampiezza che raggiunge i quattrocento metri e dalle fonti antiche sappiamo che questi lidi furono densamente edificati dall’aristocrazia romana che ne fece un rinomato luogo di villeggiatura per il sua clima mite, per la bellezza del paesaggio e per la presenza di innumerevoli sorgenti idrotermali. La presenza di ruderi antichi in mare venne segnalata già nella redazione delle prime mappe cartografiche, ma la reale entità di questo patrimonio archeologico sommerso si ebbe solo nel 1956 grazie al comandante dell’aviazione R. Bucher, che sorvolando questo tratto di mare in una giornata particolarmente limpida, notò una serie di innaturali geometrie e simmetrie sul fondo del mare, che si rivelarono poi essere i magazzini e le strutture del Portus Iulius, il porto commerciale dell’antica Roma.
L’avvio delle ricerche archeologiche subacquee ha portato, nel corso dei decenni a seguire, alla scoperta che l’intero litorale dei Campi Flegrei è interessato da strutture sommerse riconducibili a ville, strade, taberne, terme, impianti per l’allevamento del pesce, porti e banchine portuali: ossia ha permesso di ricostruire l’antica topografia costiera di questo tratto di mare oggi in parte racchiuso nel Parco Sommerso di Baia. Tra i monumenti maggiormente noti e studiati ricordiamo la Villa a Protiro, la Villa dei Pisoni, il ninfeo imperiale di Claudio, la secca Fumosa e l’intero complesso del Portus Iulius. La creazione di alcuni itinerari subacquei permette oggi ai turisti subacquei di visitare questi luoghi così affascinanti e ancora purtroppo semisconosciuti.
Area Marina protetta di Aenaria Regno di Nettuno a Ischia
L’area marina protetta Regno di Nettuno di Ischia è la più grande delle sei ed è stata scoperta solo di recente.
Nel mondo degli studi classici Ischia deve la sua notorietà al fatto di essere stata la prima colonia greca in Occidente, fondata nel VIII secolo a.C. e citata dalle fonti antiche con il toponimo Pithecusa, e per il ritrovamento in una tomba della necropoli di San Montano della coppa rodia c.d. di Nestore (esposta nel Museo Archeologico di Lacco Ameno) che riporta la più antica iscrizione greca rinvenuta nel mondo occidentale.
Mentre la penuria di evidenze archeologiche di età romana ha – da sempre – fatto sì che l’isola, ora definita come Aenaria, venisse considerata, in questo periodo storico, semi abbandonata a causa dei frequenti terremoti e delle eruzioni vulcaniche che si manifestarono tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. Recentissimi scavi subacquei stanno invece in parte smentendo questo preconcetto, con la scoperta nella Baia di Cartaromana dell’antico porto di Aenaria e dei resti di una villa marittima.
L’analisi dei materiali ceramici rinvenuti nel corso degli scavi documenta non solo una frequentazione della baia protrattasi nell’arco di almeno otto secoli ma anche un traffico commerciale proveniente da tutto il bacino del Mediterraneo, confermando anche per l’età romana la centralità dell’isola lungo le rotte marittime che solcavano il Mare Nostrum. L’individuazione e lo studio di strutture di epoche più recenti (XIII secolo) consente inoltre la ricostruzione della geomorfologia della baia di Cartaromana dall’età romana ad oggi, attraverso l’analisi delle variazioni del livello del mare nel corso degli ultimi 2000 anni. In attesa della conclusione degli scavi e dell’istituzione di itinerari subacquei, l’area archeologica è visitabile con l’ausilio di una barca dal fondo trasparente.
Area Marina Protetta Costa degli Infreschi
L’Area marina protetta Costa degli Infreschi e della Masseta è situata nel tratto di mare della provincia di Salerno compresa tra Punta dello Zancale, nel territorio comunale di Camerota, e Punta Spinosa, nel Comune di San Giovanni a Piro. Si estende lungo un tratto di costa di 14 km e comprende una superficie di mare di 2.332 ettari nel Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, che provvede, tramite l’omonimo Ente parco, anche alla sua gestione.
La costa offre uno spettacolare paesaggio dal punto di vista naturalistico caratterizzato da un grado di eterogeneità ambientale unico, tanto da essere inserita in un Sito di Interesse Comunitario sottoposto a protezione speciale. In pochi chilometri di litorale molto frastagliato si concentrano insenature, spiaggette, rade, sorgenti d’acqua sottomarine, il tutto incorniciato da macchia mediterranea, uliveti, vigneti e preziose specie endemiche, numerose grotte di origine carsica, sia sommerse che sopra il livello del mare, che furono abitate dall’uomo preistorico, come testimoniano alcuni ritrovamenti di antichissimi resti umani.
I luoghi di rara bellezza paesaggistica e di interesse naturalistico si susseguono a breve distanza l’uno dall’altro: Cala bianca, la piscina degli Iscolelli, la sorgente di Santa Caterina, le spiaggette della Masseta; tutte località che possono essere raggiunte via mare grazie ad un servizio di navigazione costiero messo a disposizione dei visitatori.