Spesso si pensa che la moda sia qualcosa di frivolo, ma in realtà la moda è una forma d’arte al pari della letteratura, della pittura e della scultura, con la differenza che gli stilisti esprimono la loro creatività attraverso stoffe e tessuti.
Dietro ad un abito che noi siamo abituati a vedere già bello e confezionato nelle vetrine, c’è uno studio, una ricerca e delle emozioni che spesso ignoriamo. La letteratura può essere di supporto a ciò, aiutandoci a conoscere e scoprire le emozioni nascoste dei vari stilisti, noti e meno noti.
Basti pensare anche ai tanti libri pubblicati sulle biografie dei grandi stilisti dell’alta moda: Coco Chanel, Yves Saint Laurent, ecc. quasi tutte storie sofferte e frastagliate.
Attraverso i suoi romanzi “Solo Nina” e “Tutto andrà nel migliore dei modi”, Rosalia Catapano, ha cercato di portare alla luce quelle che sono le emozioni, i ricordi ed il vissuto di uno stilista immaginario, Raul Ortega, affinchè le sue creazioni siano viste non solo come degli abiti belli da indossare, ma delle creazioni che parlano e raccontano una storia, una storia ahimè molto triste.
In “Tutto andrà nel migliore dei modi” l’autrice ci guida a scoprire il passato di Raul, la storia della sua famiglia e tutti gli eventi che l’hanno portato a diventare ciò che è, con il suo animo sensibile ed il suo amore per la moda.
A differenza del primo romanzo della Catapano, incentrato sulla moda, sullo stile e sugli Atelier, “Tutto andrà nel migliore dei modi” è basato sui sentimenti e sulle relazioni umane.
Si parte da molto lontano, dalla storia della nonna di Raul, Francesca Romana Lodovici, unica erede del conte Lodovici, che negli anni ’40 rimane incinta di un musicista scapestrato, che l’abbandona senza sapere nulla della figlia che porta in grembo.
Da lì il padre, per evitare lo “scandalo” la disconosce come figlia e la “costringe” a sposare Fernando Acquaviva, un cugino ridotto al lastrico dall’alcol e dai debiti di gioco, che da tempo gli chiedeva aiuto. Ed infatti, l’incipit del romanzo è proprio la lettera disperata di aiuto di Fernando.
I due novelli sposi si trasferiscono a Capri, a Villa Floris, di proprietà di Fernando, che in cambio del matrimonio riceve una somma di denaro per poterla ristrutturare e trasformarla in una casa albergo, tra le più invidiate di Capri.
Dopo qualche tempo nasce la piccola Laura, che si lega tantissimo a Fernando, il quale, a sua volta, convinto che il matrimonio, la bambina e la villa fossero un dono del signore, mette da parte l’alcol ed il gioco per crescere amorevolmente la piccola Laura. Francesca, invece, dal canto suo, sembra non aver superato la delusione del padre e dell’ex fidanzato e si rifugia in un mutismo pauroso, dedicandosi anima e corpo solo alla cucina.
Purtroppo la sregolatezza del passato di Fernando bussa a riscuotere il conto ed il suo povero fegato, distrutto da troppi anni di alcol non regge a lungo, lasciando Laura da sola con una mamma assente.
La ragazza, che durante la sua infanzia ha avuto modo di imparare le maniere gentili e la poesia da Fernando e le lingue dalle ospiti internazionali dell’albergo, Si lega molto all’amica Margherita e, dalla frequentazione della sua famiglia, impara l’arte del cucito. Ben presto, ormai adolescente, conosce Gabrio Ortega, un giovane diplomatico spagnolo giunto a Capri per risolvere i problemi legati all’epidemia del colera. Tra i due è amore a prima vista e decidono di trasferirsi insieme a Napoli. Lì inizieranno la loro vita idilliaca ed amorosa, interrotta però da varie tragedie familiari: la morte del padre di lui di infarto durante una scappatella con una delle tante amanti, il suicidio della madre nella stessa giornata e…una Francesca Lodovici Acquaviva che dimentica completamente la figlia rifugiandosi sempre di più nella sua solitudine!
Poco dopo nasce il piccolo Raul e dopo qualche anno la sorellina Fernanda. I due bambini crescono in uno dei migliori palazzi di Napoli, proprio di fronte al Duomo, nella strada ricca di Atelier da sposa, tra l’amore dei loro genitori ed i pomeriggi a curiosare negli Atelier. Raul mostra la sua passione per la moda già dall’età di 4 anni quando, parlando con la zia Blanca, che dopo aver abbandonato il lavoro da Yves Saint Laurent sogna di aprire un Atelier tutto suo a Barcellona, le disegna un meraviglioso abito da sera. Da lì la sua passione cresce sempre più. Disegna camicette per la mamma e realizza gli abitini per le Barbie della sorella. Tutto sembra andare nel migliore dei modi fino a quando Laura, colta dalla noia dei figli ormai cresciuti e del marito molto assente, non si invaghisce del pianista che abita al piano di sopra….
Un romanzo avvincente, pieno di amore, di dolore, di attaccamenti morbosi ma anche intriso di tanta tristezza e solitudine…che mostra tutta la debolezza dell’animo umano, generazione dopo generazione, ma che allo stesso tempo svela da dove deriva l’animo nobile e sensibile dello stilista Raul Ortega, come è nata la sua passione per la moda e cosa esprime nelle sue creazioni perchè in fondo, moda e letteratura, sono due facce della stessa medaglia e per amare entrambe bisogna avere un animo nobile e gentile!
Come sosteneva Roland Barthes “il vestito riguarda tutta la persona, tutto il corpo, tutti i rapporti dell’uomo con il suo corpo, così come i rapporti del corpo con la società”.
I rapporti tra moda e letteratura sono sempre stati controversi, tra autori che la moda l’hanno osannata, come ad esempio Balzac che riteneva l’abito “il più forte di tutti i simboli” , ed autori che, invece, l’hanno demonizzata, come ad esempio Leopardi che riteneva la moda “figlia della Caducità e sorella della Morte” o Émile Zola che inquadrava la moda come un “trionfo dell’artificiale” , che invertiva il rapporto corpo-abito e condannava il lusso quale divoratore di ricchezza che non conduce a “nulla di autentico”.
l primi segnali del rapporto tra moda e letteratura sono rintracciabili già nel corso del Seicento nel periodo Barocco, durante il quale è presente un forte interesse per maschere e artifici mentre, durante il Settecento, prevale
una visione satirica della moda come nel caso de “Le smanie per la villeggiatura” (1759) di Goldoni o nelle opere del Parini “Alla moda”.
Tuttavia, è nell’Ottocento che moda esercita una sempre più forte attrazione su un innumerevole gruppo di autori.
Con il Dandismo, infatti, la moda si arricchisce di nuovi significati: il modo di apparire diventa “espressione di una filosofia della vita”, ogni indumento è intriso di significati ideologici e l’abbigliamento si delinea come “nuova categoria estetica”. Attraverso l’abito, il dandy ostentava eleganza nei modi e nel vestire, un individualismo esasperato, una ironica presa di distanza dalla realtà ed il rigetto della mediocrità borghese. Simboli del dandismo ottocentesco sono Charles Baudelaire, che era solito indossare un abito lungo di colore scuro, accompagnato da un colletto bianco molto largo e un papillon di seta, e gli immancabili guanti color rosa pastello e Oscar Wilde, bastone alla mano e sigaretta in bocca, il tutto incorniciato da un abbigliamento ricercato.
Nel corso del Novecento il rapporto moda-letteratura assume nuove sfaccettature. In seguito alle proteste del 1968, si assiste a una “rivoluzione” che trasforma completamente il mondo della moda che si affaccia nel mondo letterario come “fenomeno sociale e culturale”, nel quale gli abiti sono i veicoli di posizioni ideologiche e politiche.
Oggi, invece, c’è la tendenza a parlare di moda nei libri e nei romanzi, a scrivere biografie dei grandi stilisti e studiare il legame continuo che moda e letteratura hanno avuto e continuano ad avere, in quanto entrambe due forme artistiche dei nostri tempi.
Un tempo gli artisti erano i grandi pittori, gli scultori ed i poeti, mestieri che ormai sono sempre più rari. I nuovi artisti dei nostri tempi sono invece gli stilisti ed in quanto tali non possono mancare all’interno dei romanzi.