Ieri pomeriggio alla Feltrinelli di Napoli, Giovanni Allevi ha presentato il suo ottavo album “Love”: un emozionantissimo e profondo inno all’amore, in vendita in cd e in vinile dal 20 gennaio.
Ci sono voluti due anni per scrivere il suo ottavo album di inediti in cui racconta, in 13 tracce, l’amore in tutte le sue declinazioni e sfaccettature: dal’amore romantico in Loving you, alla disperazione amorosa in Asian eyes, dall’amore per la sua famiglia in My family, all’amore sacro in Amor sacro ed anche per l’asteroide che la NASA gli ha dedicato in Asteroid 111561.
Come lui stesso dichiara, e che condivido perfettamente “c’è una forma di amore che è davvero difficile da ottenere, è l’amore per se stessi. Per amarsi bisogna accettare i propri demoni interiori, il processo creativo passa per questo. È il buio dentro ognuno di noi che ci fa conoscere la nostra luce”.
Come lui stesso dichiara, e che condivido perfettamente “c’è una forma di amore che è davvero difficile da ottenere, è l’amore per se stessi. Per amarsi bisogna accettare i propri demoni interiori, il processo creativo passa per questo. È il buio dentro ognuno di noi che ci fa conoscere la nostra luce”.
“In un momento come questo, dove ci si nasconde dietro a false ideologie piene d’odio, solo l’amore può salvarci” – continua Allevi.
Per questo album si è avvalso dei migliori professionisti e tecnici del suono. Le registrazioni di Love sono state effettuate nei celebri Abbey Road Studios di Londra, dove incisero i Beatles e i Pink Floyd, tra gli altri, e successivamente videro la luce alcune tra le più celebri colonne sonore nella storia del cinema, da Guerre Stellari di George Lucas alla trilogia de Il Signore degli Anelli. “Per me è stata un’esperienza straordinaria, ma la cosa ancor più straordinaria è stato sentire Ian Jones, l’ingegnere del suono dello studio, dire che non serviva nulla di più alla mia musica. Per loro era perfetta così”.Il tour partirà da Londra il 27 febbraio, toccherà varie città Europe e farà tappa a Napoli il prossimo 30 marzo.
Ma vediamo i tredici brani di «Love» commentati direttamente da Giovanni Allevi (durante l’intervista di Tv Sorrisi e Canzoni), ed i video inediti girati da me durante la presentazione alla Feltrinelli di Napoli.
Yuzen: «E’ un Preludio, scritto in una camera d’albergo a Kanazawa, in Giappone, durante il tour del 2013, sotto l’effetto di una febbre a 39,5 ed uno stato semi delirante. Ho voluto appoggiare la melodia a tormentati arpeggi, che cercano per tutto il brano di sfociare nell’estasi. Yuzen è un particolare dipinto su seta, arte che raggiunge i massimi livelli proprio a Kanazawa».
Loving you: «Una intensa ballade dalle timbriche ora sussurrate, ora più decise. E’ il brano che più degli altri vuole catturare la tenerezza ed il trasporto dell’amore romantico. Affido a queste note la mia dichiarazione d’amore per la mia compagna e per le persone che mi sono vicine, per la Musica, per la mia vita folle».
Amor sacro: «In questo “corale rock” riaffiora il mio passato, lo studio della musica antica, la mia grande passione per il contrappunto bachiano. Ma le intricate progressioni armoniche seicentesche si innestano in un contesto squisitamente rock-progressive. Ho voluto cogliere il senso della sacralità, la forma più pura dell’Amore».
Asteroid 111561: «Dedicato al “mio” asteroide, un pianetino in orbita attorno al Sole tra Giove e Marte che la NASA mi ha intitolato, su indicazione del Dipartimento di Astrofisica dell’Università di Padova. Lo immagino sfrecciare libero nello spazio, senza impedimenti, lontano dai nostri problemi ed ansie. Come tutti i miei brani in Re Maggiore, presenta un carattere solare e positivo. Tuttavia nella parte centrale ho voluto cogliere, anche se solo per un attimo, l’estatica meditazione sul vuoto siderale».
The other side of me: «Un complesso autoritratto, in cui i fugati alludono alla trama intricata dei miei pensieri ed arrovellamenti, mentre la melodia in maggiore è il lato luminoso e giocoso della mia personalità. Soprattutto in questo brano si intersecano elementi musicali rinascimentali e contemporanei. La spinta propulsiva e ritmica dei materiali musicali trova compimento in una complessa costruzione formale.
La stanza dei giochi: «La vita di musicista mi tiene spesso lontano dalla famiglia. Una notte sono tornato nella mia casa vuota a Milano, e alla vista della stanza dei giochi dei bimbi, ho provato una dolce nostalgia».
It doesn’t work: «New York, camerino della Carnegie Hall. Aria condizionata “a palla”. Attendo di fare il mio concerto, rannicchiato su una panca, con il cappotto a mo’ di coperta. Nonostante avessi armeggiato con il termostato, la temperatura restava troppo bassa ed io stavo congelando. Chiedo aiuto ad una maschera, la quale dopo aver provato anche lei col termostato, va a chiamare il responsabile. Arriva un carpentiere tutto muscoli, con l’elmetto giallo e molti attrezzi appesi alla cintura. Con le sue mani grandi inizia a premere i pulsantini, poi, dopo alcuni minuti, si gira verso di me e dice: “It doesn’t work!” – “Ma va?” gli rispondo. In quel preciso istante è partita nella mia testa la musica di questo brano».
Lovers: «Un brano tattile, sensuale, che vuole raccontare l’amore fisico tra due amanti. Eppure il trasporto è immerso in una atmosfera languida di nostalgia, per una gioia appena vissuta, ma già passata. Il linguaggio musicale vuole idealmente riallacciarsi alla tradizione romantica dei compositori russi dei primi del Novecento, dove il Pianoforte è il principe incontrastato della scena, e l’impeto emotivo è portato ai massimi livelli.
My family: «Riunione di famiglia con i parenti nel piccolo bilocale di Milano. Tutti parlano a voce alta, c’è tensione. Un bimbo continua insistentemente a tirare una pallina contro il vetro di una finestra. Io, che ho bisogno di silenzio come l’aria, mi rifugio nell’altra stanza, e come per magia, il volume di quel vociare si abbassa, mentre si alza quello di una affettuosa melodia nella mia testa. Nonostante tutto, loro sono la mia famiglia e gli voglio bene».
Asian Eyes: «La disperazione amorosa, tutta interiore; è il dolore contenuto, perfettamente celato all’esterno, di una donna giapponese. Attraverso una reiterazione minimalista dei frammenti musicali, la tensione cresce fino a sfociare in una esplosione struggente e liberatoria».
Come with me: «È l’invito ad avventurarsi con la persona al nostro fianco, nei meandri dell’esistenza con un po’ di leggerezza. Il brano in La Maggiore è forse il più impegnativo dell’album, da un punto di vista dell’interpretazione; la sua difficoltà sta nell’essere graffianti ed energici, senza mai scadere nell’aggressività, felpati e pungenti come la zampa di un gatto».
Sweetie pie: «Una coccola, una serena colazione, cullati nell’idea che ci si possa fermare un po’, prima di gettarsi di nuovo nel flusso della vita. La morbidezza del brano è esaltata dalla tonalità di Sol Bemolle Maggiore. Come diceva Debussy: “i bemolli sono blu”».
L’Albatros: «La poesia di Baudelaire è il tema ispiratore di questa sonata. L’amore più difficile da attuare è quello per se stessi: accettare la nostra inadeguatezza, riconoscere il nostro essere goffi ed impacciati per via delle ali da gigante, che ci impediscono di camminare quaggiù. Eppure l’accettazione del proprio limite può essere il viatico alla scoperta di nuovi spazi ed orizzonti, in cui essere finalmente se stessi. Il mio albatros lotta contro la tempesta, la pioggia, le folate di vento, ma arriva per lui il momento di planare libero».