La montagna mi rilassa tantissimo. Fare escursioni è sempre stata una mia passione, passione che per un periodo ho un pò accantonato a causa di alcuni infortuni avuti durante una giornata di trekking sui Monti Lattari in seguito ad un temporale. Ma per fortuna ora è tutto passato, anche il trauma, ed ho ripreso una delle attività più belle che possa esistere per trascorrere una giornata a contatto con la natura.
Questa volta, però, ho deciso di essere meno incosciente e di avventurarmi sul Vesuvio con un gruppo organizzato e con la guida esperta di Andrea Perciato dell’Associazione Trekking Campania che ci ha portato lungo i cognoli, per la Strada Matrona fino alla Valle dell’Inferno.
Sono stata tante volte sul Vesuvio nella Valle dell’Inferno, ma c’ero sempre arrivata da Ercolano.
Questa volta, invece, siamo partiti da Ottaviano, dal castello del Principe per incamminarci attraverso una ripida salita che supera i numerosi tornanti del Vallone Tagliente fino ad imboccare la pista che sale a destra attraverso un copioso castagneto; subito dopo subentra la pineta (con esemplari di marittimo e d’Aleppo) che determina il principale manto vegetazionale del Vesuvio alternandosi all’ontano napoletano ed al carpino nero.
Superati i tornanti iniziali lungo le falde settentrionali del vulcano, si raggiungono (1040 m) le balconate aeree di un paesaggio unico al mondo che mi ha lasciato davvero senza parole e che da solo è valso tutta la scarpinata!!!
Dai fiumi di lava lungo i versanti occidentali del vulcano, ai suggestivi scenari offerti dai “conetti” vulcanici (fenomeni insoliti e poco conosciuti); dalle creste dei “cognoli”, autentiche rupi dagli scenari “danteschi” cui tuffarsi per assaporare le atmosfere dei canti e le gesta dei dannati di matrice dantesca, ai panorami sul golfo dell’immensa pianura campana che si estende oltre le falde vesuviane.
Un modo insolito per osservare uno dei più famosi vulcani del mondo che determina una delle sky-line più famose al mondo coi suoi oltre 200 kmq la cui base copre una circonferenza di circa 50 km. Il complesso vulcanico è costituito da due corpi orografici ben distinti: il monte Somma (coi 1133 m di Punta Nasone), interessato dal nostro percorso, le cui pendici esterne alla originaria caldera sono ricoperte da copiosi boschi (pinete) fino alla cima; e il Vesuvio (1281 m), di più giovane formazione geologica (roccia lavica rossastra) rispetto al primo e che risulta essere l’unico vulcano ancora attivo sul tutto il continente (isole escluse) europeo.
Abbiamo percorso salute e discese ripide a strapiombo davvero avventurose ed emozionanti che da sola, ammetto avrei avuto paura di percorrere, ma con una guida alpina esperta è stato tutto più semplice e divertente!
Ho poi rivissuto una sensazione bellissima che non avevo dimenticato: la discesa di corsa lungo una strada di sabbia lavica. Sembrava di correre sulla luna. La stessa identica sensazione della discesa dalle dune del deserto che ho vissuto anche in Gran Canaria!
Questa è l’altra faccia del Vesuvio poco conosciuta e, fortunatamente, poco frequentata dall’escursionismo di massa; una faccia e una natura che si lascia scoprire in tutta la sua terrificante e suggestiva bellezza! Sotto di noi le valli dell’Inferno, del Gigante e l’Atrio del Cavallo sormontati dalla cupa mole vesuviana e le pareti a picco; giù in basso guglie e piramidi di roccia lavica s’impennano verso l’alto.
Il percorso prosegue verso oriente con una serie di saliscendi che offrono vedute paesaggistiche su una piana eccessivamente antropizzata ed estesi deserti lavici che dividono la mole del cono vesuviano dalla primaria (per epoca geologica) caldera vulcanica del Somma. Tratti aperti in pendenza si alternano a spazi chiusi e ombreggiati attraverso copiose ginestrete; camminando lungo cri-nali di sabbia lavica mista a polveri di pomice si è (1112 m) sulla cornice dei Cognoli, le creste esposte del monte Somma. Da quassù si riconosce il tipico paesaggio agrario della pianura campana, i cui fertili territori producono colture arbustive e ortaggi (agrumi, albicocche, carrubi, olivo, vite, ecc.) mentre le sue pendici sono ammantate dalla pineta, dalla lecceta e le ginestre.
Il paesaggio vegetale in cresta è caratterizzato dalla presenza di licheni, che si sviluppano sugli strati di lava nuda, e piante erbacee; mentre felci e muschi nascono ove il microclima è più umido. Poco più in basso si segnala la presenza della betulla bianca che si alterna ad un sottobosco misto ove prevale la felce aquilina. Ai margini di una macchia la pendenza perde quota e si prende la deviazione che conduce alla Valle dell’Inferno, su un percorso in ripida discesa fino a raggiungere la Valle dell’Inferno; un gigantesco deserto di lava in cui primeggia il lichene grigio argentato Sterecaulon Vesuvianum.
Qui, esattamente dopo aver percorso circa 8 km (l’intera escursione è durata 8 ore per complessivi 12 km), ci siamo fermati per una pausa ristoro in cui ognuno ha consumato il pranzo a sacco che si era portato. Ed è proprio in questo preciso momento che un solo panino non mi è bastato ed avevo ancora fame ed ho ripensato alle parole di una vecchia guida alpina incontrata durante una delle mie tante escursioni, che consiglio di mangiare pane con l’uovo per le giornate di trekking.
Dopo esserci rinfocillati e riposati per una mezzoretta, siamo ripartiti per la nostra escursione avventurosa lungo le pendici del Vesuvio.
Abbiamo attraversato una gigantesca macchia di ginestre verso i Cognoli di Levante, in prossimità delle bocche laviche del 1906 e la cupola lavica del 1937. Risalendo i Cognoli di Levante si ammira una tra le più belle e interessanti formazioni di lava “a corda” del Vesuvio, con profonde crepe in cui alloggiano numerose specie di felci.
In questa parte del Vesuvio c’è un fenomeno archeologico unico: la lava incordata. Lava colata che si è solidificata e viene chiamata dagli speleologi lava incordata o lava a corda. Unico esempio in tutto il Vesuvio.
Da qui ha termine il ginestreto e si raggiunge un grande slargo (la Marca, 790 m); crocevia di piste e sentieri che attraversano il vulcano. Prendendo la polverosa strada in discesa si ritorna nuovamente al punto di partenza.
Durante l’escursione, ho scoperto il significato della parola Trekking che deriva da trek to trekker (seguire le impronte delle ruote dei carri lasciate lungo la pista) vocabolo dei Boeri coniato dagli olandesi e poi inglesizzato dagli inglesi. Inizia a sorgere già nei primi dei 900 in Germania nella foresta nera dove ci sono 26mila km di sentieri tracciati. Patria del trekking in Europa.
Per trekking si intende attività in movimento di più giorni mentre quelle di una giornata sono escursioni.