Siamo partiti dalla metropolitana di Montesanto, con il nostro tipico ritardo di mezz’ora, che per noi napoletani è normalissimo, fa parte del nostro DNA, ma per chi viene dal nord è inconcepibile, al punto che ci hanno paragonato si tempi dilatati dell’Egitto. La giustificazione è stata trovata in una frase di Erri De Luca che dice che noi napoletani siamo come il tufo: così come il tufo si riempie di stucco e se lo leva di dosso, così noi napoletani siamo con le regole: ce le scrolliamo di dosso. 🙂
Quindi non vi arrabbiate se vi daranno appuntamento alle 9,00 e si presenteranno elle 9,30. Per entrare nella cultura napoletana, iniziate già a pensare con un fuso orario sfasato di mezz’ora ;-).
La piazza, data la sua complessità architettonica e strutturale, non è raggiungibile tramite alcun mezzo di locomozione, né pubblico, né privato, e costituisce un’area interamente pedonale. Inoltre, sulla facciata della chiesa del Gesù Nuovo, è affissa la targa UNESCO con incisa la motivazione per la quale il centro storico di Napoli è divenuto patrimonio dell’umanità:
« Si tratta di una delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti. I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell’Europa e al di là dei confini di questa. » |
Infatti, osservando bene le pietre nere vulcaniche si scoprono dei segni di circa dieci centimetri che altro non sono che delle lettere aramaiche, la lingua parlata da Gesù. Sono solo sette segni e ognuno corrisponde a una delle note. Lette in sequenza da destra a sinistra, guardando la chiesa, dall’edificio del liceo pedagogico Fonseca a quello del liceo classico Genovesi, e dal basso verso l’altro, le incisioni, tradotte in note, compongono una musica della durata di quasi tre quarti d’ora.
La Chiesa di Santa Chiara, quasi di fronte, invece rappresenta la più grande chiesa di stile gotico della città, possiede il sepolcreto ufficiale dei Borbone, dove riposano i sovrani del Regno delle Due Sicilie, da Ferdinando a Francesco II.
La chiesa si presenta oggi nelle sue originarie forme gotiche, con una facciata a larga cuspide, nella quale è incastonato l’antico rosone traforato, con il pronao dagli archi a sesto acuto e l’interno con un’ unica navata, su cui si aprono dieci cappelle per lato. La copertura è a capriate.
Alle spalle dell’altare è situato il Coro delle clarisse, composto da tre navate. Su una parete sono visibili i frammenti di un affresco raffigurante la Crocifissione, in cui si riconosce la mano di Giotto, chiamato a decorare le pareti della chiesa nel 1326.
Continuando nel nostro giro tra il centro storico della città, siamo arrivati fino a San Gregorio Armeno, attraversando numerose chiese e palazzi nobiliari, alcune sconsacrate, ma non per questo meno belle.
Via San Gregorio Armeno , la celebre strada degli artigiani del presepe, famosa in tutto il mondo per le innumerevoli botteghe artigiane dedicate all’arte presepiale. La via e le botteghe possono essere visitate durante tutto l’anno ed il visitatore così ricondotto ogni volta alla magica atmosfera natalizia. Per ogni famiglia napoletana, il Natale a Napoli prevede anche una visita “a San Gregorio Armeno” come tappa obbligatoria prima di intraprendere la costruzione o l’ampliamento del proprio presepe.
La visita a San Gregorio Armeno si è completata all’interno della celebre bottega Ferrigno, considerato tra i caposcuola nell’arte della terracotta napoletana, le cui opere sono ispirate al Settecento Napoletano. La sua produzione presenta, accanto ai personaggi tradizionali, le figure care alla tradizione iconografica della sceneggiatura napoletana. Fra tutte Marco, come suo padre Giuseppe, predilige ancora due personaggi storici dell’arte tradizionale: Benino il pastore eternamente assonnato e Ciccibacco, personaggio alticcio e strampalato, che vengono realizzati in tutte le misure: dai sei ai sessanta centimetri. Pastori tanto belli da sembrare quasi reali e che non hanno nulla da invidiare alle statue di marmo esposte in tante città d’arte.
Scoperta e rivelazione di Via San Gregorio Armeno è la chiesa di Santa Patrizia, seconda patrona di Napoli, la quale fa anch’essa il miracolo di liquefazione del sangue come San Gennaro, ma lo fa ogni martedì in forma privata alla sola presenza di suore, preti ed ecclesiastici. La chiesa è una vera e propria oasi di pace nel caos di San Gregorio Armeno.
La fondazione dell’edificio risale al IV secolo, quando un gruppo di monache dell’ordine di San Basilio decisero di dedicare il precedente luogo di culto alla neosantificata Patrizia.
L’edificio di culto venne ricostruito, con annesso monastero, nel XVI secolo in stile rinascimentale locale, ma venne rifatto di nuovo nel secolo successivo, con la progettazione di una chiesa lungo la strada, da Giovanni Marino Della Monica.
Nell’interno, a navata unica e transetto con cappelle, sono conservate opere pittoriche di Belisario Corenzio e un bell’altare maggiore in marmo e pietre preziose di Ferdinando Sanfelice. Al piano superiore sono presente le suore di clausura.
Ai due lati del portone, sono presenti due ruote che servivano per “esporre” i bambini rimasti orfani, gli “Esposito” (oggi tra i cognomi napoletani più diffusi).
Dal presbiterio della chiesa di San Gregorio armeno si entra nel corridoio delle monache dal quale le suore, nascoste, assistevano alle messa. Il corridoio ospita gli altarini di legno e oggetti ricchi di storia: statue di Gesù Bambino e statuine di santi con abiti e parrucche d’epoca ma anche mobili in miniatura, utilizzati dalle monache di clausura. Nella chiesa di San Gregorio Armeno troviamo anche un’altra scala che ricorda la vita delle religiose all’interno delle mura conventuali: la scala d’ingresso al monastero. Nel muro sinistro della scala sono dipinti degli scorci prospettici e delle finestre finte con cani e gatti sui davanzali. Queste riproduzioni della realtà impresse sulla superficie della parete servivano a ricordare alle monache di clausura il mondo esterno, per loro inaccessibile. Ai lati dell’entrata principale, inoltre, troviamo due porticine che nascondono gli unici mezzi con cui le monache di clausura comunicavano con l’esterno: le ruote, utilizzate per il passaggio di cibo, lettere, vestiti, ecc. In un armadio nascosto, inoltre, è presente una statua della Vergine Maria con bambino che è considera dalla chiesa “eretica” perché va’ contro tutti i canoni del Cristianesimo.
Abbiamo chiuso, poi, il tour del Centro Storico nelle Scuderie di Palazzo San Severo, nell’Atelier di Lello Esposito, artista napoletano famoso per le sue riproduzioni di San Gennaro e Pulcinella. Un luogo ricco di tradizioni e di creatività, dove l’autore ha colto in pieno l’essenza di Napoli. Il suo lavoro, ed in questo senso è stato tra i primi a farlo, è basato sullo sconvolgimento delle figure ancestrali della cultura napoletana, come il corno, San Gennaro, il Vesuvio e la maschera di Pulcinella.
Il lavoro continuo di destrutturazione sulla maschera di Pulcinella è stato quello che ha reso l’artista noto a livello internazionale. «Pulcinella è presente da cinquecento anni, dalla commedia dell’arte a quella di Tiepolo sino ad arrivare a Picasso. Oggi Pulcinella è voglia di attivismo, di cambiare, magari anche di toglierla questa maschera, perché in fondo dietro c’è il popolo di una città unica, non omologata, ma che può raccontare ancora una storia straordinaria, una grande ricchezza per l’Italia intera. Questa è una città che non dimentica la storia e ha l’anima di una grande capitale».
Ed infatti è emblematica la scultura del Pulcinella legato alla sedia che vomita tutti gli altri Pulcinella realizzati da Lello all’inizio della sua attività.
Per non parlare, poi, delle bellissime statue di San Gennaro che sembrano parlare con gli occhi e delle riproduzioni dell’uovo, simbolo di Napoli!
Insomma, un tour alla scoperta di una Napoli nuova ed insolita che ha lasciato me come napoletana senza fiato e che può affascinare ancora di più i turisti giunti qui per la prima volta.