Come sapete, io sono napoletana, ma la settimana scorsa ho avuto l’opportunità di vivere la mia bella Napoli da turista insieme a 20 blogger provenienti da tutta italia. Ho scoperto così una città ancora più bella e sui generis di quello che già pensavo. Credo che ognuno di noi debba fare il turista nella sua città. In questo modo si possono vedere cose che spesso si danno per scontate. Ed è così che ho fatto, grazie al tour organizzato da Malvarosa per i blogger vincitori del food blog award 2016.
Il nostro tour è partito dal centro storico, lì dove c’è la NAPOLI più autentica e folkloristica, proprio quella Napoli che qualche mese fa ha affascinato Dolce & Gabbana trasformandola in palcoscenico sia della sua sfilata che campagna pubblicitaria, esportando la sua bellezza in tutto il mondo.
Ciò che molti di voi non sanno, però, e che in realtà non sapevo nemmeno io, è che il centro storico di Napoli è patrimonio dell’Unesco, proprio come la Medina di Tunisi. Ed in realtà, se ci pensate, un po’ ci assomiglia alla Medina. A me è sembrato quasi di essere ritornata li, mentre ero intenta a fotografare le sue luci, i suoi colori, i suoi negozietti tipici….

Napoli

Visitare  il centro storico di Napoli significa attraversare venti secoli di storia. La planimetria delle strade, le piazze, le chiese, i monumenti, gli edifici pubblici e i castelli costituiscono uno scrigno di tesori artistici e storici di eccezionale portata, tanto da meritare l’iscrizione, nel 1995, alla World Heritage List  dell’UNESCO.
Raccoglie testimonianze di diversi stili e periodi, dalla fondazione, nell’VIII sec. a.C.,  della colonia greca Partenope alla successiva dominazione romana, dal periodo Svevo-Normanno al regno angioino, dall’Impero aragonese ai Re di Francia fino ad arrivare a Garibaldi e al Regno d’Italia.

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Siamo partiti dalla metropolitana di Montesanto, con il nostro tipico ritardo di mezz’ora, che per noi napoletani è normalissimo, fa parte del nostro DNA, ma per chi viene dal nord è inconcepibile, al punto che ci hanno paragonato si tempi dilatati dell’Egitto. La giustificazione è stata trovata in una frase di Erri De Luca che dice che noi napoletani siamo come il tufo: così come il tufo si riempie di stucco e se lo leva di dosso, così noi napoletani siamo con le regole: ce le scrolliamo di dosso. 🙂

 Quindi non vi arrabbiate se vi daranno appuntamento alle 9,00 e si presenteranno elle 9,30. Per entrare nella cultura napoletana, iniziate già a pensare con un fuso orario sfasato di mezz’ora ;-).

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Abbiamo attraversato la Pignasecca, dove si trova  il celebre mercato della frutta e del pesce, così chiamata perché perché nel 600 esisteva una pineta usata per appartarsi con le signorine tra cui c’era anche un cardinale che durante uno degli incontri fu derubato di un anello da una gazza. Scomunicò le gazze dalla città, ma a causa di ciò, la pineta si seccò ed iniziò a morire.
Attraversando il vicolo della Pignasecca, soffermatevi ad ascoltare le urla dei pescivendoli, le signore che fanno la spesa calando i panari (cestini anticamente usati per trasportare il pane) dai balconi, l’odore di ragù che esce dalle case ed i colori di una città viva!

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Superata la Pignasecca siamo arrivati a Spaccanapoli, il cuore del centro storico della città, il cui vero nome è San Biagio dei Librai, ma è stata così soprannominata perché, vista dall’alto, sembra spaccare perfettamente in due la città, partendo dal rione della Pignasecca (ai piedi del Vomero), attraversando tutto il centro storico (tra cui via Roma, piazza del Gesù, piazza San Domenico, San Gregorio Armeno e via Duomo) e giungendo alle spalle di Castel Capuano, nei pressi della Stazione Centrale.
Lungo il suo percorso, la strada assume -secondo la toponomastica ufficiale- sette nomi diversi, e vede succedersi chiese, palazzi e piazze tra i più interessanti della città: tra questi, i complessi di Santa Chiara e del Gesù Nuovo, i palazzi Filomarino, Carafa e Marigliano, le chiese di S.Angelo a Nilo, S.Domenico Maggiore, S.Nicola a Nilo, la cappella del Monte di Pietà, l’Ospedale delle Bambole, l’Archivio di Stato.
Spaccanapoli rappresenta indubbiamente uno dei luoghi più tipici della città, in cui si coniugano tradizione, arte e cultura napoletana. Negozi di artigianato locale, ricchissime pasticcerie, le celebri botteghe d’arte presepiale (nell’adiacente via S.Gregorio Armeno), i bar e locali notturni la rendono una tappa obbligata per i turisti e uno dei luoghi più vivaci e animati della città.

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Siamo partiti dal Palazzo Carafa di Maddaloni con il suo portone imponente.
Ho così scoperto l’importanza dei portoni dei palazzi nobiliari del centro storico di Napoli.
Il Portone di piperno stava a significare l’appartenenza ad una famiglia facoltosa. Quello in Piperno e marmo: famiglie imparentate con la corona, mentre di Solo marmo: famiglia reale.
Siamo poi arrivati alla bellissima Piazza del Gesú, cuore pulsante della città.

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La piazza, data la sua complessità architettonica e strutturale, non è raggiungibile tramite alcun mezzo di locomozione, né pubblico, né privato, e costituisce un’area interamente pedonale. Inoltre, sulla facciata della chiesa del Gesù Nuovo, è affissa la targa UNESCO con incisa la motivazione per la quale il centro storico di Napoli è divenuto patrimonio dell’umanità:

« Si tratta di una delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti. I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell’Europa e al di là dei confini di questa. »

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La piazza, fulcro di alcuni dei più importanti monumenti di Napoli, ruota attorno al monumentale obelisco dell’Immacolata, maestosa guglia di marmo bianco e bardiglio posta al centro dello spiazzale, regalo della città quando è finita la peste.
Di fronte ed al lato si innalzano rispettivamente due delle chiese più importanti della città: la chiesa del Gesù Nuovo ed il Monastero di Santa Chiara. La prima, costruita su quello che era il palazzo Sanseverino, ha nella sua facciata quattrocentesca con bugnato a punta di diamante in pietra piperina il più tipico esempio di barocco napoletano.  La facciata della chiesa del Gesú è un pentagramma a cielo aperto con una musica scolpita nella facciata ed i tasselli sono note in arabico che suonano un canto gregoriano, decifrata da uno storico dell’arte, Vincenzo De Pasquale, 55 anni, con la passione per il misterioso Rinascimento napoletano. La sua indagine, cominciata nel 2005, insieme a Salvatore Onorato che l’ha aiutato nei sopralluoghi, assomiglia, ma senza i delitti connessi, a quella del «Codice da Vinci» e spazia dall’Italia all’Ungheria, dal cuore sacro di Napoli ai trompe-l’oeil rococò di Eger, cittadina magiara quasi ai confini con l’Ucraina. La scoperta ha del clamoroso. In breve, i segni che sono incisi sul bugnato della facciata del Gesù Nuovo non sono altro che la partitura di un concerto per strumenti a plettro (mandole e affini).

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Infatti, osservando bene le pietre nere vulcaniche si scoprono dei segni di circa dieci centimetri che altro non sono che delle lettere aramaiche, la lingua parlata da Gesù. Sono solo sette segni e ognuno corrisponde a una delle note. Lette in sequenza da destra a sinistra, guardando la chiesa, dall’edificio del liceo pedagogico Fonseca a quello del liceo classico Genovesi, e dal basso verso l’altro, le incisioni, tradotte in note, compongono una musica della durata di quasi tre quarti d’ora.

All’interno la chiesa è un trionfo di barocco. Mentre inizialmente era gotica.

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La Chiesa di Santa Chiara, quasi di fronte, invece rappresenta la più grande chiesa di stile gotico della città, possiede il sepolcreto ufficiale dei Borbone, dove riposano i sovrani del Regno delle Due Sicilie, da Ferdinando a Francesco II.

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La chiesa si presenta oggi nelle sue originarie forme gotiche, con una facciata a larga cuspide, nella quale è incastonato l’antico rosone traforato, con il pronao dagli archi a sesto acuto e l’interno  con un’ unica navata, su cui si aprono dieci cappelle per lato. La copertura è a capriate.

Alle spalle dell’altare è situato il Coro delle clarisse, composto da tre navate. Su una parete sono visibili i frammenti di un affresco raffigurante la Crocifissione, in cui si riconosce la mano di Giotto, chiamato a decorare le pareti della chiesa nel 1326.

centro storico Napoli

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Continuando nel nostro giro tra il centro storico della città, siamo arrivati fino a San Gregorio Armeno, attraversando numerose chiese e palazzi nobiliari, alcune sconsacrate, ma non per questo meno belle.

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Via San Gregorio Armeno , la celebre strada degli artigiani del presepe, famosa in tutto il mondo per le innumerevoli botteghe artigiane dedicate all’arte presepiale. La via e le botteghe possono essere visitate durante tutto l’anno ed il visitatore così ricondotto ogni volta alla magica atmosfera natalizia. Per ogni famiglia napoletana, il Natale a Napoli prevede anche una visita “a San Gregorio Armeno” come tappa obbligatoria prima di intraprendere la costruzione o l’ampliamento del proprio presepe.

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La visita a San Gregorio Armeno si è completata all’interno della celebre bottega Ferrigno, considerato tra i caposcuola nell’arte della terracotta napoletana, le cui opere sono ispirate al Settecento Napoletano. La sua produzione presenta, accanto ai personaggi tradizionali, le figure care alla tradizione iconografica della sceneggiatura napoletana. Fra tutte Marco, come suo padre Giuseppe, predilige ancora due personaggi storici dell’arte tradizionale: Benino il pastore eternamente assonnato e Ciccibacco, personaggio alticcio e strampalato, che vengono realizzati in tutte le misure: dai sei ai sessanta centimetri. Pastori tanto belli da sembrare quasi reali e che non hanno nulla da invidiare alle statue di marmo esposte in tante città d’arte.

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Scoperta e rivelazione di Via San Gregorio Armeno è la chiesa di Santa Patrizia, seconda patrona di Napoli, la quale fa anch’essa il miracolo di liquefazione del sangue come San Gennaro, ma lo fa ogni martedì in forma privata alla sola presenza di suore, preti ed ecclesiastici. La chiesa è una vera e propria oasi di pace nel caos di San Gregorio Armeno.

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La fondazione dell’edificio risale al IV secolo, quando un gruppo di monache dell’ordine di San Basilio decisero di dedicare il precedente luogo di culto alla neosantificata Patrizia.

L’edificio di culto venne ricostruito, con annesso monastero, nel XVI secolo in stile rinascimentale locale, ma venne rifatto di nuovo nel secolo successivo, con la progettazione di una chiesa lungo la strada, da Giovanni Marino Della Monica.

centro storico Napoli

Nell’interno, a navata unica e transetto con cappelle, sono conservate opere pittoriche di Belisario Corenzio e un bell’altare maggiore in marmo e pietre preziose di Ferdinando Sanfelice. Al piano superiore sono presente le suore di clausura.

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Ai due lati del portone, sono presenti due ruote che servivano per “esporre” i bambini rimasti orfani, gli “Esposito” (oggi tra i cognomi napoletani più diffusi).

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Dal presbiterio della chiesa di San Gregorio armeno si entra nel corridoio delle monache dal quale le suore, nascoste, assistevano alle messa. Il corridoio ospita gli altarini di legno e oggetti ricchi di storia: statue di Gesù Bambino e statuine di santi con abiti e parrucche d’epoca ma anche mobili in miniatura, utilizzati dalle monache di clausura. Nella chiesa di San Gregorio Armeno troviamo anche un’altra scala che ricorda la vita delle religiose all’interno delle mura conventuali: la scala d’ingresso al monastero. Nel muro sinistro della scala sono dipinti degli scorci prospettici e delle finestre finte con cani e gatti sui davanzali. Queste riproduzioni della realtà impresse sulla superficie della parete servivano a ricordare alle monache di clausura il mondo esterno, per loro inaccessibile. Ai lati dell’entrata principale, inoltre, troviamo due porticine che nascondono gli unici mezzi con cui le monache di clausura comunicavano con l’esterno: le ruote, utilizzate per il passaggio di cibo, lettere, vestiti, ecc. In un armadio nascosto, inoltre, è presente una statua della Vergine Maria con bambino che è considera dalla chiesa “eretica” perché va’ contro tutti i canoni del Cristianesimo.

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Abbiamo chiuso, poi, il tour del Centro Storico nelle Scuderie di Palazzo San Severo, nell’Atelier di Lello Esposito, artista napoletano famoso per le sue riproduzioni di San Gennaro e Pulcinella. Un luogo ricco di tradizioni e di creatività, dove l’autore ha colto in pieno l’essenza di Napoli. Il suo lavoro, ed in questo senso è stato tra i primi a farlo, è basato sullo sconvolgimento delle figure ancestrali della cultura napoletana, come il corno, San Gennaro, il Vesuvio e la maschera di Pulcinella.

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Il lavoro continuo di destrutturazione sulla maschera di Pulcinella è stato quello che ha reso l’artista noto a livello internazionale. «Pulcinella è presente da cinquecento anni, dalla commedia dell’arte a quella di Tiepolo sino ad arrivare a Picasso. Oggi Pulcinella è voglia di attivismo, di cambiare, magari anche di toglierla questa maschera, perché in fondo dietro c’è il popolo di una città unica, non omologata, ma che può raccontare ancora una storia straordinaria, una grande ricchezza per l’Italia intera. Questa è una città che non dimentica la storia e ha l’anima di una grande capitale».

Ed infatti è emblematica la scultura del Pulcinella legato alla sedia che vomita tutti gli altri Pulcinella realizzati da Lello all’inizio della sua attività.

Per non parlare, poi, delle bellissime statue di San Gennaro che sembrano parlare con gli occhi e delle riproduzioni dell’uovo, simbolo di Napoli!

Insomma, un tour alla scoperta di una Napoli nuova ed insolita che ha lasciato me come napoletana senza fiato e che può affascinare ancora di più i turisti giunti qui per la prima volta.

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