Se siete in vacanza a Formia ed avete nostalgia della cucina napoletana, vi farà piacere sapere che presso l’Antica pizzeria e Ristorante Ciro, il Ristorante gestito da Giorgio Moffa, nipote del fondatore del Trianon di Napoli, Ciro Leone, e che da una decina di anni ha “esportato” l’esperienza e la tradizione partenopea nell’area di Latina, è possibile mangiare non solo la pizza napoletana, ma anche la cucina della tradizione partenopea.
Moffa, già proprietario di un altro locale sullo splendido Golfo di Gaeta, proprio sul lungomare Caboto, meta turistica per eccellenza sia da napoletani che romani, è molto legato alla tradizione culinaria napoletana e l’ha esportata anche nel basso Lazio.
Un filo lega storicamente Napoli, Formia, Gaeta. Un filo che si ritrova nel modo di fare, nella vulgata e nella gastronomia. Su quest’ultimo aspetto ha ruotato ieri il dibattito su “La cucina di Napoli, ricette e storie” che si è sviluppato seguendo la traccia dettata dal libro del noto giornalista enogastronomico Luciano Pignataro intitolato appunto Le ricette di Napoli (edizioni dell’Ippogrifo), nel quale sono presenti ricette della tradizione napoletana tramandate di madre in figlia e ricette trasmesse da alcuni chef partenopei, il tutto integrato con storie, curiosità ed aneddoti.
Durante un percorso di gusto accompagnato anche dalla realizzazione dei piatti della tradizione partenopea.
Seguendo le ricette del libro di Pignataro, è stato organizzato un percorso di gusto accompagnato dalla realizzazione dei piatti della tradizione partenopea in una cena gourmet con protagoniste le ricette della tradizione napoletana: frittata di broccoli e salsiccia, parmigiana di melanzane, alici alla scapece, timballo di zite di erdinando II di Borbone e spaghetti ai frutti di mare col trucco che lo stesso Pignataro ha spiegato così: “E’ una ricetta che nasce dal fatto che da noi le vongole non sanno più di niente, perché le normative europee oltre ad avere introdotto la specie asiatica che cresce molto più velocemente ha fatto perdere sapore a questo frutto di mare determinando l’esigenza di accentuare il sapore. E ciò si può ottenere o aggiungendo più aglio o reinserendo il mare che i burocrati europei ci hanno tolto. E come si fa? con la colatura di alici”. E poi per concludere i dolci di Leopoldo dal 1940 di Casa Infante: babbà, biscotto amarena con crema chantilly e lo shou con le fragoline di bosco.
In abbinamento i vini dei Feudi di San Gregorio.
“La cucina napoletana – ha detto Pignataro – è in movimento. L’ultimo grande ricettario risale agli anni ’60 ma dalla fine degli anni ’80 all’inizio degli anni ’90 la cucina napoletana si è arricchita di uno stile più leggero che è stata portato da Don Alfonso piuttosto che da Gennarino Esposito, per citare dei nomi, e che hanno reso meno greve la tradizione partenopea. Questo libro è, dunque, una fotografia della realtà attuale poiché contiene ricette di famiglia, ci sono anche le ricette mia madre, oltre che quelle di ristoranti, stellati e non. Un insieme di saperi che viene presentato ma che può essere anche utilizzato anche in cucina. La mia soddisfazione – ha proseguito il giornalista – è quando qualche lettore pubblica su Facebook la ricetta tratta dal mio libro e poi esclama di essersi trovato bene. Perché, alla fine, il libro deve essere utile”.