Tra qualche giorno ricorrerà la festa di Halloween e diversamente da ciò che molti pensano, non si tratta di una festa americana, ma anzi, Halloween ha origini tutte Europee, risalenti ad antiche tradizioni celtiche.
Tutto ebbe inizio nell’Irlanda celtica come festa di fine estate, il cui nome era Samhain, considerato il Capodanno celtico, che cadeva tra l’ultimo giorno di ottobre e l’inizio di novembre. Essendo l’inizio della stagione più buia, era associato alla morte e all’oltretomba. I Celti pagani credevano che nella notte del 31 ottobre il velo fra il mondo terreno e quello ultraterreno si assottigliasse a tal punto che gli spiriti dei defunti potessero passarci attraverso.
Per guidare gli spiriti benigni, i Celti usavano accendere falò mentre, per allontanare gli spiriti del male, indossavano maschere e costumi, usanze ancora in voga nelle celebrazioni attuali.
In quella notte, proprio come avviene oggi durante i festeggiamenti della festa di Halloween, c’era l’usanza di offrire cibo a chiunque bussasse alla tua porta, per propiziarsi le anime dei defunti: chi lo faceva riceveva in cambio fortuna, chi non lo faceva cadeva in disgrazia. Un po’ il “dolcetto o scherzetto” che tutti ormai conoscete!
Un’altra tradizione era quella di farsi luce con lanterne intagliate in rape svuotate, illuminate dall’interno. Fu solo con l’emigrazione verso l’America che gli irlandesi sostituirono le rape con le zucche, ma Jack-O’-Lantern (il nome con cui vengono chiamate tali lanterne) deriva da una vecchia leggenda irlandese in cui lo scaltro malfattore Jack riusciva a mettere nel sacco il Diavolo stesso, il quale come punizione lo condannò a vagare per l’eternità con solo un tizzone, proveniente dalle fiamme dell’Inferno e posto all’interno di una rapa, a illuminare il suo eterno cammino.
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Ma in realtà la festa dei morti, anche se con nomi diversi, si è sempre festeggiata anche in alcune regioni d’Italia, sin dai tempi degli antichi romani quando c’era il culto dei penati, gli spiriti tutelari dei viveri di riserva della famiglia e del loro ripostiglio.
Questa tradizione è rimasta poi in molte regioni italiane soprattutto nel sud e del nord est, con riti folkloristici e a cavallo tra il sacro e il pagano.
In Sicilia
Ad esempio in Sicilia, si festeggia la “Festa dei Morti“, una ricorrenza molto sentita, risalente al X secolo, che viene celebrata il 2 novembre per commemorare i defunti. Si narra che anticamente nella notte tra l’1 ed il 2 novembre i defunti visitassero i cari ancora in vita portando ai bambini dei doni. Si tratta di un modo per ricordare i defunti, mantenendo un legame con gli affetti che non ci sono più, ma anche di esorcizzare la paura della morte. Tra i regali portati ai bimbi in occasione della Festa dei Morti in Sicilia, vi sono anzitutto dei dolci. Da una parte dell’Isola all’altra, variano le tradizioni, ma i più comuni sono generalmente la Frutta Martorana, i pupi di zucchero e tanti tipi di biscotti, tra cui le Ossa di Morto. In tante località si regala u cannistru, cioè un cesto pieno di frutta secca, in altre si preparano taralli, mustazzoli, rami di meli, tetù e biscotti Reginelle. Non mancano le pietanze salate: si mangiano le muffulette e piatti con le fave, come il celebre macco.
In Puglia
In alta Puglia, nella zona del Gargano, la festa dei morti è ancora oggi sinonimo di calza dei morti e grano cotto. Tradizione vuole che al 1 novembre, in attesa della visita dei cari estinti, le donne di casa si dedichino alla cucina, in particolare alla preparazione del gran cutt (grano cotto) mentre i bambini da sempre bussano alle porte delle case chiedendo “dolcetto o scherzetto” nella variante pugliese “Damme l’anime dli murte” (Dammi l’anima dei defunti), a cui un tempo si ribatteva a ritmo baciato “E sott la cammise che purt?” (Sotto la camicia che indossi?) – “Lu veddiche” (L’ombelico) – “E crematine tlu diche” (Te lo dirò domani mattina).
Ma anche qui, come in Sicilia, nella notte tra il 1 ed il 2 novembre arrivano i doni per i bambini: la calza dei morti, una sorta di calza della Befana, ma i cui doni sono preparati dai defunti, colma di dolci leccornie e giocattoli.
A Orsara di Puglia in provincia di Foggia, invece, la notte tra il 1 e il 2 novembre è il momento dei “Fucacoste e cocce priatorje” (Falò delle teste del purgatorio), come momento di condivisione e di ricordo dedicato ai defunti.
In ogni via, piazza e slargo del paese c’è un covone che arde, scintille che ascendono al cielo.
Esattamente come nella tradizione americana, c’è l’usanza di intagliare zucche che prendono delle sembianze umane con dei lumini all’interno, che servono a guidare le anime del Purgatorio.
Nei giorni che precedono la festa del 1°novembre, Orsara di Puglia vibra al ritmo di una crescente frenesia. La preparazione delle “cocce priatorije” è solo una delle incombenze da assolvere affinchè la festa sia perfetta.
A Napoli
Anche a Napoli c’è un forte legame con la morte, dove anticamente c’era il rito delle “capuzzelle” e delle “anime pezzentelle” ed ogni famiglia adottava un teschio per richiedere benedizione. Ogni anno il 2 novembre c’è l’usanza di recarsi al cimitero per commemorare i defunti, ma, al contempo, la notte precedente, è sempre usanza accendere un “lumino”, simbolo di un ricordo che resta sempre vivo e che non si spegne mai. La leggenda vuole infatti che la notte tra il 1° e il 2 novembre le anime dei defunti tornino a fare visita ai propri cari oltrepassando quel velo di cielo e che restino al loro fianco fino al 6 gennaio.
In quell’occasione, è usanza mangiare il torrone dei morti, un dolce diverso dal classico torrone zucchero e mandorle. È un torrone composto da un guscio di cioccolata fuori che è molto duro e che al suo interno è molto morbido e dolce. E, inoltre, non manca mai il melograno, simbolo del legame immutabile tra vita e morte, abbondanza e prosperità.
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In Calabria
Anche in Calabria c’è l’usanza di intagliare le zucche, da molto prima che Halloween si diffondesse negli Stati Uniti.
Ne parla l’antropologo Maria Luigi Lombardi Satriani nel libro – del ”Coccalu di muortu”, teschio di morto in dialetto serrese raccontando come a Serra San Bruno, in provincia di Vibo Valentia, in Calabria, da secoli per la ricorrenza dei morti i bambini svuotano grosse zucche gialle, danno loro l’aspetto macabro e spaventoso di un teschio e vanno in giro per il paese chiedendo un’offerta: “‘ndi dati i benedetti morti?”.
In Toscana
Nella provincia di Massa Carrara la giornata è l’occasione del bèn d’i morti, con il quale in origine gli estinti lasciavano in eredità alla famiglia l’onore di distribuire cibo ai più bisognosi, mentre chi possedeva una cantina offriva a ognuno un bicchiere di vino; ai bambini inoltre veniva messa al collo la sfilza, una collana fatta di mele e castagne bollite.
Mentre nella zona del monte Argentario era tradizione cucire delle grandi tasche sulla parte anteriore dei vestiti dei bambini orfani, affinché ognuno potesse metterci qualcosa in offerta, cibo o denaro. Vi era inoltre l’usanza di mettere delle piccole scarpe sulle tombe dei bambini defunti perché si pensava che nella notte del 2 novembre le loro anime (dette angioletti) tornassero in mezzo ai vivi.
In Abruzzo
In Abruzzo, analogamente a quanto avviene nel mondo anglosassone in occasione della festa di Halloween, era tradizione scavare e intagliare le zucche e porvi poi una candela all’interno per utilizzarle come lanterne.
In molti paesi d’Abruzzo era anche usanza appendere calze ai caminetti e lasciare la tavola imbandita nella notte tra il 1 e il 2 novembre, in modo che i parenti defunti potessero mangiare e lasciare dei doni ai bambini di famiglia, riempiendo le calze di frutta secca.
Infine, sempre durante la sera di Ognissanti, tra Pratola Peligna, Pettorano sul Gizio e anche a Serramonacesca i bambini solevano impiastricciarsi il viso di cenere e farina e recarsi di casa in casa a ricevere “il bene”, un’offerta a nome delle anime dei morti, dei quali imitavano le fattezze con i loro visi camuffati. Tra le formule utilizzate per farsi aprire, alla domanda “Chi è?” i bambini rispondevano “l’aneme de le morte”. La porta veniva aperta e si donava ai bimbi frutta secca e biscotti, in un rito scaramantico che voleva soddisfare le richieste dei defunti nel timore di maledizioni.
In Nord Italia
In alcune zone della Lombardia, nella notte tra il 1 e il 2 novembre molte persone mettono in cucina un vaso di acqua fresca per far dissetare i morti. Mentre in Friuli Venezia Giulia si lascia ai morti un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane, nel caso avessero fame.
In Trentino si suonano le campane per richiamare le anime dei morti mentre dentro casa si lascia il focolare acceso e la tavola apparecchiata per i defunti. Lo stesso avviene in Piemonte e in Val d’Aosta.
In Liguria vengono preparati i bacilli (fave secche) e i balletti (castagne bollite) per rifocillare i morti, mentre tanni fa, la notte del 1 novembre, i bambini si recavano di casa in casa, come ad Halloween , per ricevere il “ben dei morti“, ovvero fave, castagne e fichi secchi. Dopo aver detto le preghiere, i nonni raccontavano loro storie e leggende paurose.
Insomma, come vedete, la festa dei morti si è sempre celebrata in Italia, solo che due giorni dopo quella che ora viene celebrata come Halloween.
Conoscevate queste tradizioni?