Napoli è famosa per il suo culto dei morti, un culto antichissimo da sempre molto sentito dalle famiglie partenopee. Basti pensare al rito della “capuzzella” visibile ancora oggi al Cimitero delle Fontanelle. Ma anche le sepolture delle famiglie nobili ci tramandano qualcosa di speciale.
I napoletani hanno sempre avuto un rapporto di “riverenza” nei confronti della morte. Le aree cimiteriali erano però relegate extra moenia (fuori dalle mura), un’area che oggi coincide con il rione Sanità.
In quest’area sorsero ipogei ellenistici e, successivamente, catacombe paleocristiane come quelle di San Gennaro e San Gaudioso.
Dal XVII secolo la zona fu chiamata “Sanità” perché ritenuta incontaminata e salubre, anche grazie a proprietà miracolose attribuite alla presenza delle tombe dei Santi.
Sono ben nove le catacombe e i complessi ipogei sotto il Rione Sanità, di cui solo alcuni sono stati portati alla luce, cioè San Gennaro, San Gaudioso, San Severo e il più recente ossario delle Fontanelle. Del resto, il rione si chiama “Sanità” perché dal XVII secolo la zona fu ritenuta incontaminata e salubre, anche grazie a proprietà miracolose attribuite alla presenza delle tombe dei Santi.
Vi ho già parlato in passato delle Catacombe di San Gennaro, dove era seppellito il Santo. Oggi vogio portarvi, invece, in un tour nelle catacombe di San Gaudioso, alle quali si accede dalla Basilica Santa Maria della Sanità, anche conosciuta come Chiesa di San Vincenzo, la chiesa principale del Rione. Molti abitanti del quartiere credono tuttavia che la chiesa sia intitolata a San Vincenzo Ferreri per via della devozione popolare verso questo santo domenicano e anche per la bellissima statua lignea che lo rappresenta posta alla sinistra dell’altare.
Come vi ho raccontato più volte, sotto al città di Napoli esiste un’altra città gemella nata a forza di levare mattoni di tufo per la costruzione delle case sovrastanti, caratterizzata da grotte chilometriche, pozzi profondi, grandiose caverne e sorprendenti catacombe, spesso teatro di eventi magici ed esoterici.
Si tratta del secondo cimitero paleocristiano di Napoli esteso su circa 5600 metri quadrati scavati nel tufo della collina di Capodimonte e composto da circa 2000 loculi e 500 arcosoli, i cui affreschi hanno ispirato la Livella di Totò e nelle quali si può capire il significato del famoso detto napoletano “puozz sculà”.
Alle catacombe si accede attraverso la cripta sotto il presbiterio rialzato dell’altare centrale della chiesa, rappresentata in un affresco staccatosi forse da una parete dell’antica chiesa in seguito a una frana di fango.
Dall’altare centrale della Basilica, si scende nei sotterranei, ed è lì che davanti ai nostri occhi si apre uno spettacolo senza pari: una galleria d’arte dell’oscuro, dipinta da Giovanni Balducci, artista che rinunciò al compenso per essere sepolto tra gli aristocratici nelle Catacombe di San Gaudioso, che tra gli altri lavori realizzò gli affreschi interni degli Uffizi, della Cattedrale di Volterra e del Duomo di Firenze.
Si tratta di circa 20 affreschi lungo 30 metri di tunnel.
Qui i nobili napoletani acquistavano un posto verso l’immortalità, facendo esporre il proprio teschio su dipinti meravigliosi, che possiamo ammirare ancora oggi.
Entrare nelle Catacombe di San Gaudioso è come entrare in un altro mondo.
Le sepolture di nobili e membri del clero erano realizzate secondo un procedimento particolare. I teschi venivano apposti a vista nelle pareti dell’ambulacro, mentre il resto del corpo era affrescato, generalmente con gli abiti e gli attrezzi del mestiere che rappresentavano la posizione sociale del defunto.
Tra i vari dipinti, troviamo anche una coppia di giovani sposi ha voluto farsi dipingere mano nella mano, per stare insieme per tutta l’eternità,per dimostrare che il loro amore fosse così grande da superare anche la morte. Io l’ho trovato un gesto molto romantico.
Troviamo poi quella che fu la tomba di San Gaudioso e tutta una serie di cunicoli sepolcrali.
Le Catacombe vennero ampliate in seguito alla sepoltura del vescovo nordafricano Gaudioso, deposto qui tra il 451 e il 453 d.C., perchè essere seppelliti vicino a lui era sinonimo di prestigio.
In un’area delle catacombe è poi possibile poi vedere come avveniva il rituale della scolatura, il procedimento per cui si ponevano i cadaveri in nicchie in modo da far perdere loro i liquidi fin a quando non diventavano un mucchietto d’ossa.
Questo processo avveniva in piccole cavità dette seditoi, scolatoi o in napoletano cantarelle, dal greco cantarus, per il vaso posto al di sotto del defunto, che aveva la funzione di raccogliere i fluidi cadaverici. Una volta concluso il processo, le ossa venivano lavate e deposte nella loro sepoltura definitiva.
Questo compito macabro era assolto da una figura chiamata schiattamuorto.
In seguito al furto dei resti di San Gennaro da parte del principe Sicone I, che li portò a Benevento, si temevano altri furti di reliquie dei santi e dei vescovi sepolti extra moenia e nel IX secolo le spoglie di santi furono messe al sicuro all’interno delle mura di Napoli.
Le catacombe tornarono però ad essere un sito sepolcrale nel XVI secolo, dopo il ritrovamento di un affresco della Madonna della Sanità, del V-VI secolo, fino ad allora occultato da un dipinto ottocentesco raffigurante San Gennaro e riscoperto casualmente nel 1991 e infine restaurato nel 2011. La Madonna della Sanità è la più antica raffigurazione mariana di Napoli, oggi conservata nella prima cappella laterale destra della basilica.