Giorno 1: il borgo di Castelmezzano
Castelmezzano è adagiato ad una parete di guglie e picchi e la leggenda vuole che il primo nucleo urbano sia stato fondato da Paolino, un pastore deciso a nascondersi tra le montagne per sfuggire alle frequenti incursioni saracene. La radice latina del nome, “Castrum”, ne indica proprio un luogo fortificato. Tuttora, mantiene l’originale impianto medievale. Il centro storico è davvero caratteristico nel suo insieme: le costruzioni arroccate, i balconi fioriti, ripide scale e scalette che invitano a salire alle vette sovrastanti e godere di un meraviglioso panorama.
La roccia è sempre presente: nelle sue viscere sono scavati i sottoportici che uniscono stradine e piazzette, un tempo luogo di socializzazione. Splendido lo scenario che si può ammirare da Piazza Emilio Caizzo, balcone naturale che si apre su un paese disposto ad anfiteatro, la cui illuminazione notturna lo avvicina ad un presepe naturale. Qui affaccia la Chiesa Madre di S. Maria, edificata nel XIII sec. in pietra locale nella piazza principale, conserva al suo interno una statua lignea trecentesca raffigurante la Madonna con Bambino (detta dell’Olmo), un altare ligneo in stile barocco e una Sacra Famiglia di Girolamo Bresciano.
Ciò che mi ha lasciato ancora di più senza fiato, oltre alla bellezza paesaggistica, è la sua storia intrecciata a quella dei Cavalieri Templari.
È possibile trovare tracce della loro presenza nella toponomastica delle strade e nello stesso stemma comunale che riproduce il sigillo dell’ordine del Tempio (due cavalieri, di cui uno moro, su un unico cavallo alla volta della prima Crociata combattuta anche dagli abitanti di Castelmezzano con la vicina Tricarico). Sulla parete orientale della chiesa Madre, da cui un tempo si accedeva, è stata rinvenuta una croce patente, simbolo della maestranza dell’ordine dei Cavalieri del Tempio (che testimonia non solo un passaggio dei Cavalieri in questi luoghi, ma proprio la permanenza).
Una particolare scaletta scavata nella roccia (sulla quale mi sono arrampicata pur avendo un abito con gonna larga, ovviamente imbarcandomi lo stesso, perché la sicurezza va al primo posto), conduce ad un posto di vedetta, ai ruderi della cinta muraria e all’antico castello di CastrumMedianum, di origine normanno-svevo. Da lì si arriva nel punto più alto, là dove la vedetta della guarnigione militare sorvegliava la sottostante valle del Basento e quando il cielo è terso si può ammirare il panorama fino al golfo di Taranto.
Dopo una bellissima visita culturale del paese, affascinata da tutte le bellissime storie e con gli occhi a cuore per la bellezza dei paesaggi, siamo andati a cena al ristorante “Al Becco della Civetta” in pieno centro dove abbiamo subito degustato i piatti tipici locali ed assistito ad un mini laboratorio di pasta fatta in casa.
Giorno 2: il volo dell’angelo e l’arrivo a Pietrapertosa
Il secondo giorno è iniziato con una grande avventura: il famoso volo dell’angelo da Castelmezzano a Pietrapertosa!
Per arrivarci si percorre un sentiero tortuoso di trekking di circa 20 minuti fino ad arrivare al punto più alto della montagna dove c’è il filo che unisce i due comuni regalando un’esperienza dal brivido ed emozione unica!
Non vi nego che appena arrivata lì su in cima e visto il vuoto che c’era sotto e la lunghezza del filo ho avuto un po’ di paura, ma poi, appena lanciata, ha prevalso l’adrenalina e mi sono sentita come un uccello in volo sorvolando dall’alto le Dolomiti Lucane. Intorno a me una scenografia naturale davvero spettacolare: una parete di guglie e picchi, tra le Dolomiti Lucane, le rocce erose dagli agenti atmosferici, vette altezzose dalle forme più fantasiose (l’aquila reale, l’incudine, la grande madre, la civetta) e il verde del Parco di Gallipoli Cognato.
L’incredibile esperienza del volo è alla portata di tutte grazie all’attrattore che, anche quest’anno, permette di provare, singolarmente o in coppia, le due tratte di pura emozione, per vivere l’esperienza da soli o condividerla con la persona amata.
Finito il volo dell’angelo, ancora carichi di adrenalina, ci siamo rinfrescati alGvnine Bistrot, dove ne ho approfittato per cambiare outfit e poi pronti a scoprire quest’altro piccolo borgo, anch’esso tra i più belli d’Italia attraverso una visita guidata al Convento San Francesco, via dei Portali, Chiesa Madre, Castello, Cappella San Cataldo e rione Arabatan.
Il nome Pietrapertosa deriva da una roccia forata, detta in dialetto “pertusa”. Qui le case nascono dalla pietra, sono nella pietra, con il loro aspetto quasi civettuolo a specchiarsi sulle stradine ripide e tortuose e sui minuscoli orti formati da terra di riporto. Ovunque un paesaggio lunare, in cui la natura si fonde con l’opera dell’uomo. Furono i Saraceni a stabilirsi qui per primi, intorno all’anno Mille, costruendo nella parte alta del paese una fortificazione, poi ampliata dai Normanni, dove sono ancora visibili i resti del torrione e una scalinata che conduce ad un belvedere su tutta la Valle del Besento, davvero da mozzare il fiato.
A Pietrapertosa si respira ancora un’aria di mistero, capace di far sognare e rivivere altri tempi, altre vite, altri modi di essere. Il suo cuore segreto è il quartiere arabo, che quasi non ti aspetto di trovare un un borgo incastonato tra le Dolomiti Lucane e che conserva quel fascino arabeggiante davvero inconfondibile. L’Arabata da lontano sembra una colata lavica di casette tra pareti rocciose, una piccola casbah accudita in un grembo di arenaria.
Gli arabi si annidarono qui portati dal principe Bomar, vivendo a diretto contatto con la rupe, in abitazioni di pietra e coperte di lastre di pietra, collegate da stradine ripide e tortuose. Oggi sono visibili parte delle mura perimetrali, l’arco d’ingresso, un torrione di avvistamento ed alcuni alloggiamenti incisi nella roccia. Da quassù avrete la sensazione di fare un tuffo tra terra e cielo. Un’altra vista che toglie il fiato è quella dal nuovo Belvedere, in via della Speranza: lo sguardo apre su tutta la vallata. L’Arabata non ha perso l’atmosfera severa del tempo in cui c’era l’asino ad arrampicarsi su per i vicoli. Proprio per ricordare i suoi dominatori, il paese (che ha anche il primato di essere il più alto della Basilicata a metri 1088), a metà agosto, va “Sulle tracce degli arabi”.
Un modo originale per rivivere la magica atmosfera di altri tempi e per riscoprire un senso positivo di appartenenza, seguendo le luci dell’Oriente.
Per due giorni (a metà agosto) il Rione Arabata si arricchisce di suoni, musiche e colori, di stand per le degustazioni, mercatini ed un vero e proprio harem, con danzatrici del ventre. Assolutamente da ritornarci!
Abbiamo poi pranzato alla “Locanda di Pietra” a Pietrapertosa dove, immersi tra le verdi alture delle Dolomiti, abbiamo iniziato a degustare peperone crusco ed altri piatti tipici locali assaporando appieno tutti i gusti della Basilicata.
Matera e l’escursione tra i sassi
Dopo pranzo ci siano diretti a Matera, che dista circa un’ora e mezzo da Pietrapertosa.
Una delle prime città popolate dall’uomo, dal fascino e dalla bellezza disarmante. Ciò che rende Matera unica è la storia e le leggende a cui è legata. Pensare che ciò che si vede oggi è solo una piccola parte di una città quasi interamente sotterranea.
Il consiglio che mi sento di darvi è di prendere una guida ed andare alla scoperta di tutti i suoi misteri, di cui vi ho parlato qui.
3 giorno: Via Ferrata e Percorso delle 7 pietre
L’ultima giornata l’abbiamo dedicata alla via Ferrata percorrendo il Percorso delle 7 pietre, un percorso mistico naturalistico che congiunge Castelmezzano a Pietrapertosa e viceversa attraverso delle pietre parlanti che raccontano la leggenda delle maciare, tra storia, leggenda, tradizione popolare e magia. Una passeggiata letteraria, per gli amanti del trekking, della natura e della storia.
Il sentiero, di due chilometri, si sviluppa su quote variabili: dai 920 metri di Pietrapertosa, ai 660 metri della valle attraversata dal torrente Caperrino, per risalire ai 770 metri di Castelmezzano.
Di qua e di là ci sono sette installazioni scultoreeche traggono ispirazione dai racconti tramandati oralmente da generazioni e dall’immaginario su cui si fonda il libro Vito ballava con le streghe, dello scrittore lucano Mimmo Sammartino(Hacca). «È qui, da queste creste inchiodate al cielo, che spiccano il volo angeli e streghe all’inseguimento dei falconi, principi delle vette, sul confine incerto fra veglia e sogno». I sette totem raccontano la loro Basilicata, quella che vedono e quella che interpretano.
Sono le “voci di dentro”, voci preziose, lenti di ingrandimento.
Da ogni totem si diffondono musiche e racconti. Così, strada facendo, ci si può fermare a leggere le parole incise sulla pietra, ascoltare i suoni che si mescolano a quelli della natura.
Ciascuna delle tappe rappresenta un momento del racconto che evidenzia il destino, l’incanto, il sortilegio, il volo, il ballo, il delirio. Dentro a questi immaginari si può scorgere, in controluce, la storia di donne e uomini, di visioni e di dolori, di fatiche e incantamenti. È una storia impregnata di terra.
Sulla quarta pietra, invece, che rappresenta l’installazione centrale, tutto ruota attorno alle streghe, con voci, luci, effetti multimediali.
Il percorso è pensato in modo tale che possa iniziare da uno o dall’altro comune indifferentemente.
Colpisce lo scenario nel quale ci si imbatte: pinnacoli naturali che il tempo ha modellato conferendo loro le forme più strane e fantasiose. Sono le Dolomiti lucane, chiamate così perché le cime assomigliano a quelle alpine e assumono al tramonto la colorazione rosata tipica delle Dolomiti vere e proprie, anche se sono più basse rispetto alle trentine. Qui ogni guglia ha una conformazione diversa e molte riportano alla mente le sagome degli animali. Nell’elenco della fantasia c’è il Becco della Civetta, l’Aquila reale, il Gufo, e non mancano altre bizzarre forme come l’Incudine o la Grande Madre.
Questo è solo uno dei bellissimi percorso della Via Ferrata, tra le più lunghe di tutto il Belpaese, per gli amanti dell’avventura e della montagna.
Rocce erose dagli agenti atmosferici, vette altezzose dalle forme più fantasiose (l’aquila reale, l’incudine, la grande madre, la civetta), paesi scavati nella roccia come piccoli presepi, gli alberi e il verde del Parco di Gallipoli Cognato.
Una grande novità per tutto il Sud Italia: si tratta della prima via Ferrata in tutto il Meridione, che darà un ulteriore impulso all’area che si presenta con il nuovo logo identificativo e
Un emozionante percorso attrezzato per verticalità ed esposizione e adatto a tutti (classificabile come EEA poco difficile) per praticare l’arrampicatalungo le dorsali rocciose di Castelmezzano e di Pietrapertosa, e raggiungere, così, anche i punti più nascosti. Nell’insieme quasi 3,6 km di lunghezza, fra canali e camminamenti, passaggi verticali: visioni indimenticabili sullo skyline del paesaggio; sirestaincantati dalla “Grande Seduzione delle Dolomiti Lucane”, fino a toccare il cielo con un dito. Insomma, si fa un tuffo tra cielo e terra.
Dopo l’impegnativa mattinata di trekking (a proposito, non dimenticare di portare una bottiglia d’acqua), pranzo veloce da Peperusko a Castelmezzano e poi via, di ritorno a Milano.
Dove dormire
Io ho pernottato al B&B la Gradinata in pieno centro nel borgo antico di Castelmezzano per vivere appieno tutta la bellezza del borgo.
Qui il mio video: